AL SIGNOR
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CARLO AZEGLIO CIAMPI Per il tramite del Segretariato
Generale della Presidenza della Repubblica Palazzo del Quirinale, 00187 Roma –
Fax 06-46993125 |
Signor Presidente,
ho sentito e letto la Sua dichiarazione del 24 gennaio 2002
(a Ciampino) sulla questione palestinese ed in proposito, citando letteralmente
alcuni passaggi, desidero osservare quanto segue.
Il richiamo a «non spezzare il filo del dialogo» non
può, purtroppo, avere alcuna valenza, perché non corrisponde alla realtà. Non
si può invitare a non interrompere un incontro ed un confronto
fra israeliani e palestinesi – dopo il lunghissimo periodo di reciproca
avversione che tutti conosciamo – quando questo incontro e questo confronto
(dialogo) non esistono. Si può evitare di interrompere ciò che è, non ciò che
non esiste. Per respingere «la rassegnazione allo
stato di violenza, di terrorismo e di atti di guerra, in Israele e nei
territori palestinesi» bisogna riportarsi al diritto internazionale.
Per non
lasciare «che la frustrazione si trasformi in fatalistica accettazione da
parte di tutti: degli israeliani, dei palestinesi, dalla comunità
internazionale» bisogna che le istituzioni internazionali alle quali è
stato assegnato il compito di moderare i conflitti assumano le loro
responsabilità. Lei dice che «Siamo spettatori impotenti solo se scegliamo
di esserlo». In effetti, spettatori impotenti sono coloro – stati e loro
organizzazioni internazionali – che hanno il potere di intervenire ed hanno
invece scelto di astenersi, come è accaduto nella recente sessione del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quando gli Stati Uniti hanno posto
il veto all’invio di una forza di interposizione.
È vero che «Il
primo passo è garantire la sicurezza» ma questo riguarda ambedue le parti,
perché come non c’è pace senza giustizia così non può esserci pace senza
libertà. Ed il popolo palestinese non è libero. Non lo è mai stato. È anche
vero che «La comunità internazionale ha la capacità di proteggere la tregua»
ma questa capacità si deve esprimere attraverso il diritto e non attraverso
egemonie. Invitare al rinnovo degli sforzi «in primo luogo degli Stati
Uniti, dell'Unione Europea, della Federazione Russa - per un'azione congiunta,
decisa che riconduca le parti al tavolo del negoziato» significa riconoscere a queste istituzioni
un potere che nessuno ha mai loro assegnato e significa anche disconoscere il
ruolo e la funzione delle Nazioni Unite e le decisioni – come la Risoluzione n.
181 del 27 novembre 1947, mai adottata – della sua Assemblea Generale.
Non crede che il più Alto Rappresentante di un Paese – l’Italia – il
cui Parlamento ha ratificato fin dal 17 agosto
1957 la Carta delle Nazioni Unite
dovrebbe rivolgere un fermo e pressante richiamo a tutti gli altri Paesi membri
affinché vengano adottate ed applicate «in concreto» le legittime decisioni
prese dagli organi di quella organizzazione?
Le allego i testi delle lettere consegnate il 23 gennaio 2002 ai
partecipanti della giornata di preghiera di Assisi e quelle inviate agli stati
membri delle Nazioni Unite ed alle istituzioni ed alle forze politiche
israeliane e palestinesi.
Con i migliori saluti.
25 gennaio 2001
Rodolfo Marusi Guareschi