ON. ADRIANA POLI BORTONE
SINDACO DI LECCE
Egregio onorevole,
non ho il piacere di conoscerLa personalmente ma ho
sentito giudizi positivi sulla Sua persona e sulle Sue attività, sia come Docente,
sia come Ministro, sia come Parlamentare, sia come Sindaco.
Le scrivo, non richiesto, alcune riflessioni. Ho
letto sulla Gazzetta di Lecce, sotto il titolo «Va
respinta l'immagine di inerzia e di inettitudine che si vuole dare della
magistratura», l’intervista del Presidente della vostra sezione distrettuale
dell’A.N.M. relativa ad un Suo intervento in Consiglio comunale.
Non sono abituato ad esprimere opinioni e tanto
meno a dare giudizi su fatti che non conosco bene, mentre posso descrivere
quelli nei quali sono stato coinvolto e per i quali sono stato oggetto, per
oltre due mesi, insieme ad altre persone oneste, di un provvedimento di
custodia cautelare ed ancora mi trovo sottoposto al divieto di espatrio.
Quali sono i fatti? Nel 1995 ho presentato, con la
società Maguro S.p.A., un progetto economico nazionale per l’occupazione a
6.800 comuni italiani. Il progetto prevede 19.070 nuove imprese produttive, in
maggioranza nelle regioni del Sud, per ciascuna delle quali sono previsti
investimenti di 50 milioni di euro, 243 addetti ed un fatturato di 70 milioni
di euro all’anno. Per ogni impresa è stato predisposto un progetto, sono state
messe a disposizione le risorse ed è stato identificato e concordato lo sbocco
di mercato solvibile all’estero.
Quasi la metà dei comuni interpellati si sono
dichiarati interessati ma per cinque anni il progetto è stato rinviato perché
mancava la disponibilità di suoli sui quali realizzare le nuove imprese.
Finalmente, nel 2000, avuta assicurazione sulla reperibilità di suoli, la
realizzazione del progetto è stata attivato e nel mese di ottobre dello stesso
anno sono state costituite oltre 450 nuove imprese che il 31 ottobre 2002 hanno
presentato domanda sulla legge n. 488/92. Per accelerare i tempi relativi alle
procedure di quella legge, gli investimenti previsti dai progetti originari
sono stati ridotti alla metà, pur lasciando intatti il numero di addetti ed il
fatturato.
Nel mese di agosto 2000, mentre stavamo lavorando
per avviare il progetto economico nazionale, ci venne segnalata la situazione
di Texma S.r.l., una società di Varese costituita nel 1950 e detenuta dalla
famiglia Malerba, alla quale nell’agosto 1998 era stato concesso un contributo
di lire 22,3 miliardi sulla legge n. 488/92, a fronte di investimenti programmati
nel Comune di Gallipoli per lire 48,8 miliardi, da realizzare entro il 31 marzo
2001.
Dopo due anni dalla data di concessione del
contributo, Texma non aveva nemmeno avviato il programma di investimenti e non
era ancora in possesso del suolo. Se entro la metà di ottobre non fosse stato
presentato il primo stato di avanzamento, il contributo sarebbe stato
revocato. Nonostante si trattasse di
una iniziativa avulsa dal progetto per il quale stavamo operando, abbiamo
cercato di realizzare il progetto di Texma a Gallipoli.
Il 30 agosto 2000, in un solo giorno, cinque nostre
società hanno acquistato dai Malerba le quote di Texma S.r.l., la cui nuova
assemblea dei soci ha nominato un nuovo amministratore unico ed ha deliberato
la trasformazione in società per azioni, un aumento di capitale pari alla
differenza fra la spesa prevista ed il contributo concesso ed il trasferimento
della sede sociale a Gallipoli.
Dopo una serie di ritardi provocati da chi aveva
assicurato da oltre sei mesi l’assegnazione del suolo, dalla banca
concessionaria e dalla lentezza della burocrazia leccese, il 19 ottobre 2000
veniva erogata, dietro prestazione di garanzia fidejussoria, la prima quota di
un terzo del contributo a titolo di anticipazione e, ai primi di dicembre, veniva
assegnato il suolo e concessa l’autorizzazione ad iniziare le opere murarie.
Frattanto, verso la metà di novembre 2000, era
iniziata la campagna di stampa contro i 450 progetti presentati, relativamente
ai quali venivano presentate diverse interpellanze ed interrogazioni
parlamentari.
Il 7 dicembre 2000, proprio in coincidenza con
l’inizio dei lavori a Gallipoli, mentre era in corso un vero e proprio
boicottaggio nei confronti delle domande presentate il 31 ottobre 2000 sulla
legge n. 488/92, l’allora deputato Alfredo Mantovano presentò una interpellanza
parlamentare contro quelle domande e contro l’iniziativa di Texma e, con lo
stesso testo e nello stesso giorno, nel corso di una conferenza stampa, un
esposto alla Procura della Repubblica di Lecce.
Appresa dalla stampa – che pubblicò l’«avvenimento»
in anticipo – la notizia dell’iniziativa del signor Mantovano, avevo ritenuto
utile trasmettere, poco prima della conferenza stampa, un fax al Procuratore
della Repubblica di Lecce, per informarlo sulle nostre reali intenzioni
rispetto a Texma.
Le risparmio gli ulteriori particolari ma non le
date. Il 17 gennaio 2001 sono stato, del tutto ingiustamente, gettato in
carcere per iniziativa della Procura della Repubblica di Palermo. Il 18 gennaio
2001 sono stato iscritto nel registro delle notizie di reato dalla Procura
della Repubblica di Lecce. Il 2 febbraio 2001, quando le opere murarie di Texma
erano ormai realizzate per l’80%, è stato disposto dalla stessa Procura il
primo di cinque decreti di sequestro nei confronti di Texma, delle sue
partecipanti, delle nuove imprese che avevano presentato domanda il 31 ottobre
2000, dei loro fornitori, dei loro clienti e delle loro partecipanti. In tutto,
più di mille sequestri.
Risultati: Texma ha dovuto sospendere il programma
di investimenti; il contributo è stato illegittimamente revocato; le opere
murarie realizzate a Gallipoli sono state dapprima indebitamente asportate e
poi sequestrate; le domande presentate il 31 ottobre 2000 sulla legge n. 488/92
sono state tutte pretestuosamente escluse dalle graduatorie; una dettagliata e
documentata denuncia presentata dall’amministratore unico di Texma è stata
ritenuta «confusa» e, dopo essere stata dichiarata «smarrita» per mesi dalla Procura presso la quale era stata
presentata, è stata archiviata; otto denuncie, pure esse dettagliate e
documentate, presentate ad altrettante Procure in relazione alla vicenda delle
domande del 31 ottobre 2000 sulla legge n. 488/92 hanno seguito la stessa
sorte.
Il 17 ottobre 2002 scadeva la seconda proroga del
termine delle indagini preliminari avviate dalla Procura di Lecce su Texma,
sulle domande del 31 ottobre 2000 e su altri rapporti intrattenuti da nostre
società con soggetti del tutto estranei alla provincia di Lecce. Poiché, per
quanto ci riguarda, le uniche attività svolte in provincia di Lecce sono state
l’acquisto del suolo di Texma e l’inizio della costruzione dell’impianto di
Gallipoli, per ambedue le quali era ed è esclusa ogni ipotesi di reato, e
soprattutto perché non ho mai avuto nulla da nascondere, per quelle indagini, a
parte i danni che hanno provocato, non mi sono mai seriamente preoccupato,
nemmeno quando venne chiesta un terza proroga, motivata dal fatto che si
sarebbe trattato «di notizia di reato che rende particolarmente complesse le
intercettazioni per la molteplicità di fatti tra di loro collegati e/o di
indagini che richiedono il compimento di atti all’estero; molte delle società
coinvolte sono di diritto lussemburghese».
Ed invece c’era da preoccuparsi. Non per i fatti, del
tutto legittimi, da noi compiuti a Lecce o altrove ma per l’uso che se ne stava
per fare. Un uso illegale, attraverso il quale sono state sbattute in carcere
persone oneste, innocenti e, per di più, ingiustamente e gravemente colpite,
moralmente ed economicamente da
soggetti, privati e pubblici, privi di scrupoli, che hanno agito nell’ombra,
nel loro esclusivo, personale, illecito interesse. Soggetti che, nella migliore
delle ipotesi, si sono serviti dei magistrati di Lecce i quali, dimostrando di
ignorare le norme vigenti all’epoca dei fatti, hanno richiesto, disposto e
parzialmente confermato provvedimenti fondati su fatti veri ma leciti e
legittimi, contestati, invece, in modo apodittico, come gravi ipotesi di reato.
Io non so, né voglio sapere, se si tratti di
inerzia o di inettitudine. Certo, si tratta di illegalità. Questo sarà
dimostrato. E per chi usa il potere, specie chi esercita poteri pubblici, come
quello giudiziario, l’accertamento di illegalità comporta condanne per almeno
le stesse pene che si vorrebbero comminare ad imputati che si sanno innocenti e
che anche per questo si gettano in carcere prima dei processi.
I processi si fanno in Tribunale. Le denuncie si
presentano, anche se talvolta è inutile, alle competenti Autorità Giudiziarie.
Non in conferenza stampa. Non è mia intenzione derogare da questo principio.
Tuttavia, non posso non denunciare chi diffonde false notizie a mezzo stampa,
chi tendenziosamente informa la stampa e chi se ne serve per scopi che non sono
previsti non solo dal nostro ordinamento ma dal più elementare dei principi
civili e giuridici: la riservatezza personale ed il rispetto della propria
dignità e di quella degli altri. E la propria dignità si perde quando si
offende falsamente quella degli altri.
E non posso non rilevare l’insano rapporto che
emerge fra i bizantinismi, le capziosità, spesso l’illegalità degli atti
giudiziari e la sfrontatezza, gli insulti, il chiaro intento denigratorio e la
più sfrenata diffamazione di chi informa o, meglio, disinforma, la gente. Ma,
si sa, l’Italia è il Paese nel quale si perdona e si sostiene chi si suppone
abbia il potere e si infanga chi si pensa che ne sia privo e chi lo perde. È
così da … sempre. Anche questo deve cambiare.
Con i migliori saluti.
Maggio 2, 2003.
Rodolfo Marusi Guareschi